Come noto, il 31 dicembre 2020 si è concluso il periodo transitorio previsto dall’articolo 50 TUE e stabilito con l’Accordo di Recesso: da quel momento, il diritto comunitario ha smesso di applicarsi al Regno Unito, che è diventato a tutti gli effetti un paese terzo rispetto all’UE.
Da allora, la netta e decisa chiusura dei rapporti con l’UE ha portato l’economia di Londra ad essere sempre più isolata.
Tuttavia, questa nuova “libertà” ha consentito al governo britannico di agire con maggiore autonomia in tutti i settori economici, incluso quello del vino: tutti gli aspetti ad esso legati – dalla produzione alla commercializzazione – sono oggi al centro di una serie di riforme molto ampie proposte di recente dal Department for Environment, Food & Rural Affairs britannico che hanno come obiettivo quello di favorirne la crescita attraverso la modifica di quella parte del diritto dell’UE che è stato incorporato all’interno dell’ordinamento britannico a seguito della Brexit (il cd. retained EU law) e, in particolare, attraverso la rimozione di alcuni degli obblighi previsti nei Regolamenti EU n. 1308/2013, n. 2019/33 e n. 2018/274.
Si tratta di riforme chiamate Wine Reforms che riguardano principalmente gli importatori e i produttori britannici, i quali ogni anno commercializzano milioni di ettolitri di vino provenienti da tutto il mondo, anche dall’Italia. Le riforme proposte fanno parte del più ampio Smarter Regulation to Grow the Economy Programme e si trovano ora nella fase delle consultazioni, durante la quale vengono coinvolti gli operatori del settore al fine di comprenderne la portata e le tempistiche.
Le principali novità riguarderanno i seguenti aspetti:
- eliminazione dell’obbligo di indicare il prefisso “importatore” o “importato da” prima dell’indirizzo dell’operatore che ha importato il vino;
- facoltà di inserire in etichetta la varietà e l’annata senza dover richiedere alcuna autorizzazione;
- possibilità di ottenere la registrazione con la qualità di Protected Designation of Origin (PDO) di tutti quei vini ottenuti da specie di Vitis diverse dalla Vitis vinifera o da varietà ibride poiché più resistenti al clima e alle malattie;
- divieto di produzione e commercializzazione dei piquette (cd. “vini acquerello”), bevande a bassa gradazione alcolica prodotte risciacquando con acqua le vinacce già utilizzate per la produzione di un vino e facendo fermentare tale sciacquatura con dello zucchero;
- facoltà di miscelare i vini importati (coupage) per creare nuovi blend attrattivi per i consumatori;
- possibilità di gasare, addolcire o dealcolare vini importati, nonché di produrre il vino da uve importate, a bassa gradazione alcolica o alcohol free;
- eliminazione dell’obbligo – previsto per alcuni vini spumanti – di utilizzare, a chiusura delle bottiglie, tappi a forma di fungo e coperti da capsule, nonché dell’obbligo di commercializzare determinati vini all’interno di bottiglie che presentano una forma ben precisa.
Le novità appena illustrate si propongono di:
- aumentare la capacità di esportazione del settore eliminando gli ostacoli normativi al commercio;
- garantire che le regole di etichettatura e commercializzazione continuino a dare ai consumatori la certezza che i prodotti che acquistano sono sicuri, autentici e di qualità;
- promuovere gli investimenti a lungo termine e la crescita del settore, anche attraverso l’introduzione di modifiche normative che incentivino la conversione in pratiche sostenibili e in linea con le ambizioni del governo britannico in materia di emissioni zero;
- ridurre la burocrazia e i costi che devono sostenere le imprese.
Sarà interessante osservare come tutte queste potenziali novità si tradurranno effettivamente in legge e che impatto avranno sull’industria vinicola britannica (importatori, produttori e consumatori).
