Coronavirus e vendita internazionale di beni

Coronavirus e vendita internazionale di beni

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Gli effetti del coronavirus, e delle conseguenti restrizioni governative, stanno avendo ricadute importanti sull’economia mondiale e sulle dinamiche del commercio internazionale.

Per quel che concerne i rapporti commerciali gli scenari più frequenti sono rappresentati da ritardi o impossibilità di consegnare i beni per la progressiva paralisi della supply chain, con un effetto a catena che rende difficile stabilire la responsabilità dei vari soggetti coinvolti.

Occorre dunque comprendere se, e in quale misura, tale epidemia possa rientrare nell’ambito di applicazione delle clausole di forza maggiore tipicamente inserite nei contratti del commercio internazionale. Non si tratta di un concetto univoco, ma può variare a seconda della giurisdizione di riferimento e soprattutto in base allo specifico contratto sottoscritto, essendo le parti libere di includere o escludere dalla clausola determinati eventi. Pertanto, l’incidenza della clausola di forza maggiore dovrà necessariamente essere valutata caso per caso in relazione allo specifico accordo.

Contrariamente a quanto previsto dall’ordinamento interno, a livello internazionale, esistono testi normativi nei quali è ampiamente delineata la fattispecie della forza maggiore.

In particolare, la Convenzione sulla Vendita Internazionale di Beni Mobili (la cosiddetta Convenzione di Vienna del 1980), all’art. 79, co. 1 individua le tre caratteristiche principali che devono essere presenti affinché la clausola di forza maggiore possa trovare concreta applicazione:

  • l’estraneità dell’accadimento dalla sfera di controllo dell’obbligato
  • la non prevedibilità dell’evento al momento della stipulazione del contratto
  • l’insormontabilità del fatto impedente o dei suoi esiti

Laddove riesca a dimostrare la sussistenza di questi requisiti, il debitore inadempiente è generalmente ritenuto esente da responsabilità.

La circostanza che l’operazione economica oggetto del contratto sia divenuta semplicemente meno vantaggiosa dal punto di vista economico non è di per sé un elemento dirimente, essendo necessario ai nostri fini un impedimento oggettivo causato dai cosiddetti “atti di Dio”. In quest’ottica, può essere opportuno tenere a mente che la Camera di Commercio Internazionale ha emanato nel febbraio del 2003, la ICC Force Majeure Clause 2003 (ICC Clause), la quale all’art. 1 richiama le tre caratteristiche già individuate dalla Convenzione di Vienna del 1980 e in aggiunta all’art. 3 indica espressamente gli «atti delle autorità» il cui insorgere comporta l’applicazione della clausola di forza maggiore inclusi coprifuochi, quarantene, nonché le «epidemie».

A sostegno delle imprese colpite dall’epidemia, e al fine di mitigare le conseguenze sul piano dei rapporti commerciali internazionali, il China Council for the Promotion of International Trade sta rilasciando dei certificati di forza maggiore, volti ad attestare che l’eventuale ritardo o inadempimento è direttamente causato dall’epidemia in corso.

Ma cosa succede in caso di inadempimento di un terzo?

Si pensi ad un’impresa italiana che non possa consegnare i beni ordinati da un proprio cliente poiché il suo fornitore, a sua volta, non può adempiere i propri obblighi contrattuali a causa dei ritardi/inadempimenti del proprio fornitore cinese. L’azienda italiana sarà considerata responsabile del ritardo o della mancata consegna dei prodotti dal proprio cliente e cercherà di essere indennizzata dal proprio fornitore, il quale, a sua volta, cercherà di rivalersi sul produttore cinese, il quale gli opporrà la propria impossibilità di poter adempiere ai propri obblighi per cause di forza maggiore.

Rimanendo nell’ambito della Convenzione di Vienna, l’art. 79, co.2 prevede espressamente la mancata fornitura dovuta alla forza maggiore subita dai subfornitori, stabilendo che:

“…se l’inadempimento di una delle parti è dovuto all’inadempimento di un terzo che ha incaricato di eseguire tutto o parte del contratto, tale parte è esonerata dalla sua responsabilità solo se:
a) la parte ne sia esonerata in virtù delle disposizioni del paragrafo precedente; e
b) la terza parte ne sarebbe anch’essa esonerata qualora le disposizioni di tale paragrafo le venissero applicate…”

Altre normative nulla dispongono in merito alla possibilità di invocare lo stato di forza maggiore dei propri subfornitori, ma generalmente la giurisprudenza internazionale riconosce l’eccezione di forza maggiore laddove si riesca a dimostrare che i beni che avrebbe dovuto fornire il subfornitore non sono facilmente e/o tempestivamente reperibili presso altri fornitori.

Nell’esempio precedente, occorrerà ad esempio valutare se il fornitore dell’impresa italiana si sia attivato o avrebbe potuto attivarsi in tempo al fine di mitigare le conseguenze del propagarsi degli effetti dell’epidemia sulla propria attività, adottando le misure necessarie a garantire la continuità della propria attività o, ad esempio, individuando un diverso fornitore non interessato dalle ricadute del coronavirus.

In conclusione, alla luce di quanto esposto, si suggerisce alle imprese che lavorano con controparti estere di esaminare i contratti sottoscritti e l’ampiezza della clausola di forza maggiore eventualmente inserita, assicurandosi che la stessa preveda l’obbligo di preventiva e notifica e che prospetti chiaramente quali siano le conseguenze dell’evento di forza maggiore, in modo da consentire una tempestiva valutazione del rischio, tanto giuridico quanto economico.